Il craving alimentare: da perfido nemico a utile alleato?

I risultati preliminari pubblicati sull’International Journal of Obesity (relativi solo alla prima parte di uno studio che dovrebbe durare un anno), sembrano già in grado di far crollare alcune delle più ferree convinzioni sul cosiddetto “food craving”. Innanzitutto il fenomeno è talmente diffuso da poter essere considerato normale. Chi in fondo non ha mai sentito quell’irrefrenabile voglia di qualcosa in particolare?
Delle 32 donne obese assegnate con procedura casuale a seguire uno di due possibili programmi dietetici con diverso carico glicemico, ben il 91% manifestava un qualche forma di craving all’inizio dello studio. “È talmente normale che di solito non ce ne accorgiamo nemmeno” ha spiegato Susan Roberts, coordinatrice dello studio. “Il problema nasce semmai quando gli diamo troppa importanza e cerchiamo di resistergli con tutte le forze”. Le percentuali più alte di peso corporeo perso sono state infatti registrate tra le partecipanti che riuscivano a concedersi il cibo desiderato senza sentirsi troppo in colpa, perché alla fine questo le portava a cedere meno spesso.
D’altra parte anche il tipo di cibo bramato è fondamentale per la riuscita di una dieta, ma contrariamente a quel che si è sempre creduto non sono le voglie più dolci e caloriche le più pericolose: nello studio della Tufts, i risultati migliori li hanno ottenuti le donne con un desiderio di cibi a più alta densità calorica come il cioccolato e certi snack salati. “Il craving quindi non sembrerebbe spiegabile tanto con una dipendenza da carboidrati, ma piuttosto con una dipendenza da calorie anche se persino il termine ‘dipendenza’ è ingannevole, considerato che non sembra proprio attenuarsi nemmeno dopo mesi di dieta”.
La spiegazione però stavolta potrebbero darla Sadaf Farooqi e Paul Fletcher dell’Addenbrooke’s Hospital di Cambridge. I due ricercatori, studiando con la risonanza magnetica i casi di un ragazzo di 14 anni e una ragazza di 19 che non erano in grado di produrre leptina prima e dopo l’inizio di una terapia sostitutiva, hanno osservato che questo ormone è in grado di ridurre la sensazione di piacere associata al cibo. Che la leptina avesse un ruolo chiave nel dire al cervello di smettere di mangiare quando siamo sazi non è certo una novità, ma questo effetto soppressivo sui centri del piacere e della ricompensa dopo un pasto non era ancora stato dimostrato. “Chi produce poca leptina mangia di più anche se non ha fame e ingurgita tutti i tipi di cibo, compresi quelli che nemmeno gli piacciono di conseguenza diventa obeso. Ovviamente non tutti gli obesi hanno questo deficit” ha spiegato Farooqi nello studio pubblicato sulla rivista Science “ma questo studio è un ulteriore passo avanti nella comprensione dei circuiti nervosi alla base della ricerca spasmodica di cibo che potrebbero portare a una nuova terapia farmacologica in grado di mettere i pazienti nelle migliori condizioni per affrontare dieta ed esercizio”.


Fonti:

Gilhooly CH et al. Food cravings and energy regulation: the characteristics of craved foods and their relationship with eating behaviors and weight change during 6 months of dietary energy restriction. International Journal of Obesity (2007) [Published on-line ahead of print, doi: 10.1038/sj.ijo.0803672].
Farooqi IS et al. Leptin Regulates Striatal Regions and Human Eating Behavior. Science (Aug 9) 2007; [Epub ahead of print].