Menopausa: momento della vita e non malattia

Dal greco men (mese) o mestruazione in senso figurato, e pausis o termine (della mestruazione spontanea). Climaterio. Dal greco klimater è stato usato per la prima volta impropriamente da Théophile Gautier per indicare gli anni critici della donna ma che indica il lungo lasso di tempo che include sia il periodo che precede che quello che segue la menopausa (circa 10 anni). La menopausa pertanto corrisponde alla cessazione dei sanguinamenti uterini ciclici, coincide con l'arresto della produzione ciclica degli estrogeni che fa seguito alla cessazione del periodo ovulatorio e, con esso, dell'età fertile. Variamente interpretata nel corso degli ultimi decenni come periodo di vita normale e, quindi, da non medicalizzare o come vera e propria endocrinopatia, da medicalizzare, la menopausa viene accettata senza traumi dall'80% delle donne circa e come vera e propria sindrome neurovegetativa dal rimanente 20%.
La perimenopausa corrisponde alperiodo compreso, generalmente, tra i 48 ed i 55 anni e si conclude con la menopausa. In questa fase sono prevalenti i cicli anovulatori mentre quelli ovulatori divengono sporadici a causa della perdita progressiva dell'attività ciclica dell'ipotalamo e l'ovaio diviene sempre meno capace di rispondere alle stimolazioni con gonadotropine.
Prevalgono i periodi di oligomenorrea e si comincia a percepire una sintomatologia vasomotoria caratterizzata da alcune vampate di calore. I fattori che possono anticipare la menopausa: il fumo di sigaretta, la multiparità e l'età in cui la madre ha vissuto la menopausa sono i determinanti sui quali c'è più accordo in letteratura; poi, a seguire, l'età della prima mestruazione e l'uso di contraccezione ormonale, i caratteri del ciclo metruale, il peso corporeo, il consumo di latte e di carne, la razza, l'esposizione ad eventi tossici come radiazioni e chemioterapici, l'assunzione di alcuni tipi di ormone. Di questi ultimi tuttavia non esistono supporti di letteratura adeguati. Una donna che ha una mamma che ha vissuto una menopausa precoce ha probabilità 5-6 volte superiori rispetto alla popolazione di controllo di vedere anticipata la propria menopausa. È stata individuata una base genetica per la menopausa precoce dovuta a mutazioni genetiche o microdelezioni del cromosoma X.
I sintomi ed i segni clinici sono variegati: irregolarità della ripetizione ciclica della mestruazione, vampate di calore, palpitazioni, parestesie, vertigini, melanconia, un sonno con minor soddisfazione, irritabilità ed una vera e propria depressione possono modificare sostanzialmente la qualità della vita di queste donne.
Gli effetti della riduzione drastica della produzione ovarica degli estrogeni si riflettono poi, in percentuali variabili dal 10% al 50% della popolazione, sulla perdita del contenuto calcico delle ossa (osteoporosi), sulla scarsa umettatura delle vie vaginali, sulla ridotta idratazione delle articolazioni e della cute e, con riflessi ancor oggi mal definiti, sul sistema cardiovascolare.
Un problema socio-culturale. Proprio per alcune implicazioni culturali ("fine della vita fertile"), per l'avvento di un periodo che coincide con il passaggio dei figli dall'adolescenza all'età adulta ed all'indipendenza, (una sorta di "sindrome della tana vuota"), la menopausa è spesso vissuta come un momento di malattia più o meno grave. Un momento di malattia che oggi, con l'allungamento della vita postmenopausale nei paesi ad alto tenore economico - fino a circa 30 anni - non è accettabile nel suo protrarsi, pena lo scadimento della qualità di vita. Va qui ricordato che il problema non trova analogie ubiquitarie nel mondo, ad esempio, la percentuale di donne che hanno
superato i 65 anni in Italia è del 19% , del 24% in Emilia Romagna, del 30% a Bologna ma dello 0% nel Botswana, dove l'avvento dell'AIDS e l'assoluta noncuranza dei paesi occidentali, ha portato la vita media a scendere in un solo lustro dai 61 anni ai 47 anni con proiezioni al 2010 di 41 anni. Guardando indietro nel tempo la vita media nel 1927 era di 45 anni, si moriva per malattie acute ed il periodo di ospedalizzazione così come quello di dipendenza da altre persone era di giorni, massimo settimane. Nel 1950, con una vita media di 58 anni, ospedalizzazione e dipendenza duravano settimane, massimo mesi.
Oggi che la media sale agli 80 anni, si muore di cancro, malattie degenerative, immunodeficienze, fallimenti organici e l'ospedalizzazione e la dipendenza possono protrarsi per anni. Malgrado tutti gli sforzi fatti per garantire ai non più giovani una vita indipendente, priva di malattie invalidanti, fra l'attesa di vita e l'attesa di salute ci sono differenze significative che vanno dai 5-6 anni in Cina ai 16 anni negli Stati Uniti.
Esiste un rapporto tra la fertilità femminile e l'età? La risposta arriva da uno studio effettuato sulla comunità religiosa degli hutteriti, un gruppo di anabattisti emigrati negli Stati Uniti poco più di un secolo fa e che hanno mantenuto una notevole coesione e non adottano alcun sistema di controllo delle nascite. Le donne della comunità raggiungono il momento della massima fertilità poco prima dei 30 anni ed hanno in media una dozzina di figli.
Metà delle donne hutteriane ha l'ultimo figlio a 40 anni. Questo dato per l'omogeneità del campione e le sane abitudini di vita di queste donne va considerato attendibile ed estensibile alla popolazione generale.
Per quanto riguarda la contraccezione, non esiste il metodo contraccettivo ideale perché non esiste il metodo contraccettivo efficace al 100% senza alcun effetto collaterale o rischio di malattia. Da qui ne deriva che la scelta contraccettiva va necessariamente personalizzata in ordine alle aspettative, abitudini e fattori di rischio della donna.

Dopo anni di euforico entusiasmo per le terapie sostitutive con ormoni steroidei (estrogeni e progesterone) somministrati a tutte le donne in postmenopausa come una pillola della giovinezza, nel 2002 un vasto studio controllato statunitense - HERS (The Heart and Estrogen/Progestin Replacement Study) - dotato di rilevanti investimenti (circa 700 mln di $), ha negato l'utilità fino allora provata delle terapie sostitutive somministrate in postmenopausa sempre e comunque a tutte le donne. Anche se lo studio ha ricondotto l'attenzione di medici e scienziati ad una indicazione più attenta, esso stesso non fu esente da importanti errori di impostazione e con questi anche i risultati furono oggetto di non concordi conclusioni. Lo studio utilizzò una terapia a base di estrogeni equini già sperimentati negli anni 30' e di cui la letteratura riportava una serie infinita di effetti collaterali, ma non volle utilizzare l'unico estrogeno efficace , il 17β-estradiolo. Inoltre nell'evidenziare che i problemi cardiovascolari non si riducevano con l'uso delle terapie e che i tumori mammari aumentavano (dato già noto), lo studio non aveva sufficientemente evidenziato che il campione di donne era mediamente in postmenopausa da 10 anni, quando comunque un ipotetico valore protettivo sugli accidenti cardiovascolari impatta con una età che ne è inesorabilmente associata. Il fatto che lo studio fosse controllato non chiarisce se l'uso degli estrogeni in postmenopausa possa avere o meno effetti benefici nella prima decade ma non nella seconda. Le indicazioni di trattamento, anche precedentemente allo studio in questione, erano prevalentemente allocate all'interno dei primi 5 o 10 anni di vita postmenopausale.
Comunque oggi, fino a quando la comunità scientifica non reperirà altri 700 mln di $ per condurre uno studio simile con estrogeni umani naturali (17β-estradiolo) , le terapie sostitutive trovano una sola indicazione nelle donne con sintomatologia evidente, nei primi 5 anni di vita postmenopausale e con uso di 17β-estradiolo generalmente associato a progesterone (o in alcuni casi a progestinici). Uno dei problemi più rilevanti, per morbilità e mortalità, della donna in menopausa è costituito dall'osteoporosi. Si stima che circa il 40 % delle donne, d'età compresa tra i 50 e i 75 anni, vada incontro ad una frattura da osteoporosi e il 35% di queste fratture interessa le vertebre. Per prevenire un'eccessiva distruzione dell'osso è necessario un adeguato apporto di calcio con la dieta. Il fabbisogno di calcio, con la menopausa, aumenta fino a 1.500 mg al giorno per cui è importante nutrirsi con alimenti ad alto tenore di calcio come il latte e i suoi derivati. La prevenzione dell'osteoporosi, oltre al calcio, richiede un adeguato apporto di vitamina D, una costante attività fisica e un'alimentazione ricca di proteine nobili che aiutano a prevenire la riduzione delle masse muscolari. L'esposizione solare rappresenta, il principale fattore per la sintesi di vitamina D. Programmi controllati e regolari di attività fisica a basso carico (in media 30 minuti per 3 volte alla settimana) mostrano di prevenire o ridurre di almeno l'1% per anno le perdite di massa ossea nelle donne in menopausa.

Consulenza scientifica Prof. Carlo Bulletti, medico specialista in ginecologia