Il sovrappeso da recessione

La crisi economica che sta attraversando il mondo industrializzato potrebbe avere ripercussioni negative anche sulle abitudini alimentari, favorendo ulteriormente la già dilagante diffusione dell'obesità in bambini ed adulti.
Lo sostengono numerosi medici e ricercatori, tra i quali Adam Drewnowsky, direttore del Nutrition Sciences Program dell'Università di Seattle, nello Stato di Washington.
Non è la prima volta che gli esperti parlano di un legame tra condizione socio-economica e obesità. Una ricerca condotta a Seattle ha per esempio mostrato che i tassi di obesità variano nelle diverse zone della città secondo un criterio ben preciso: più basso è il reddito della popolazione e più alta è la diffusione di sovrappeso e obesità. E con l'obesità e la vita sedentaria aumenta anche il diabete.
La tendenza delle persone di fronte a una diminuzione del reddito è quella di applicare tagli alla spesa domestica, inclusa quella destinata al cibo: “Questo implica l'abbandono di cibi salutari ma relativamente costosi (pesce fresco, frutta e verdura, eccetera) a favore di altri più economici con alto contenuto di grassi saturi e sale” spiega Eileen Kennedy, decana della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University di Boston.
Al momento non sono ancora disponibili in letteratura studi che confermino la fondatezza scientifica dei timori dei ricercatori, che tuttavia invitano a prendere in seria considerazione l'allarme, anche se basato per il momento su prove aneddotiche.
D'altra parte una prova diretta di questa tendenza è sotto gli occhi di tutti: la crisi sembra non toccare le grandi catene di fast-food che in alcuni casi registrano addirittura un incremento delle vendite, mentre crea enormi problemi ad altre catene che prestano attenzione all'alimentazione salutare.
“Una maggiore povertà non si traduce necessariamente in un incremento del numero di obesi, ma il rischio indubbiamente c'è” afferma Robert Eckle, che è stato presidente della American Heart Association con base a Dallas.
Parallelamente, uno studio pubblicato a fine 2008 sull'American Journal of Clinical Nutrition da Sharon O'Donnell, del Children's Nutrition Research Center del Dipartimento dell'Agricoltura di Houston, in Texas, insieme colleghi della Michigan State University, ha analizzato la qualità dei “kid's meal” offerti ai bambini dalle diverse catene di fast food, giungendo alla conclusione che solo in tre casi su cento essi rispettavano le linee guida nutrizionali.
Secondo gli autori è il primo studio a valutare sul campo, in una grande area metropolitana come quella di Houston, la qualità dei cibi effettivamente acquistati e mangiati dai bambini in 477 ristoranti appartenenti a 12 grandi catene.
I “menù bimbi” che rispettavano le raccomandazioni erano quelli con frutta e latte, che in linea di massima prevedevano anche un sandwich: rispetto agli altri (a base di hamburger o pollo fritto e patatine), questi menù presentavano un terzo dei grassi, un sesto degli zuccheri aggiunti, il doppio del ferro e il triplo di vitamina A e calcio.

Fonti:
O'Donnell S, Hoerr SL, Mendoza JA Tsuei Goh E. Nutrient quality of fast food kids meals, Am J Clin Nutr.2008; 88: 1388-1395
Reuters Health, Will Americans put on ‘recession pounds'?, 9 gennaio 2009

Realizzato con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
D.M. 25961 del 27/12/2007