Le ossa e i muscoli degli arti inferiori dei bambini obesi sono più vulnerabili
e soggetti a traumi rispetto a quelli dei loro coetanei che non hanno problemi
di peso. Questo, in sintesi, è quanto emerge dai risultati del lavoro che Wendy
Pomerantz e colleghi hanno presentato nel corso del meeting annuale della
Pediatric Academic Society, svoltosi a Baltimora in maggio.
Lo studio
triennale (2005-2008) condotto presso il Cincinnati Children’s Hospital Medical
Center ha coinvolto oltre 23.000 bambini presentatisi al pronto soccorso con
traumi agli arti inferiori, che per la maggior parte erano rappresentate da
distorsioni (con la caviglia che rappresentava la sede più colpita), per il
resto da fratture e lacerazioni. Dei bambini visitati, uno su sei era
obeso.
Come spiega Pomerantz, il maggior rischio di traumi agli arti
inferiori nei pazienti obesi pediatrici è legato al fatto che questi bambini
hanno una massa corporea e quindi una forza maggiori e hanno, di conseguenza,
una probabilità più elevata di provocarsi traumi distorcendo o ruotando gli arti
inferiori e quindi sottoponendo ad una tensione eccessiva i legamenti, i
tendini, le articolazioni e le ossa.
Dalle osservazioni degli autori dello
studio, emerge inoltre che i bambini obesi, rispetto ai bambini normopeso ,sono
costretti a rimanere più a lungo in ospedale in seguito a uno di questi traumi,
dal momento che in genere l’eccesso di peso genera danni più seri.
Per tenere
sotto controllo la dilagante obesità infantile e prevenire i danni a essa
associati – non solo metabolici ma anche quelli legati a traumatismi - la
soluzione migliore resta la combinazione di dieta e attività fisica.
“I
genitori preoccupati dei traumi a cui potrebbero andare incontro i loro figli
nel corso dell’esercizio fisico, dovrebbero lavorare in collaborazione con uno
specialista in grado di definire il migliore programma alimentare e motorio per
permettere al bambino di perdere peso, e va comunque sempre ricordato a tutti i
genitori che anche piccoli cambiamenti dello stile di vita sono comunque utili”
conclude l’autrice dello studio.
Fonte:
Pediatric Academic Society Annual
meeting Baltimora, 2-5 May 2009