Anche lo zucchero può causare una forma di dipendenza fisica, con conseguente
sindrome di astinenza: è questa la conclusione di uno studio americano che
potrebbe avere riflessi sulla terapia di alcuni disturbi alimentari.
Lo
studio, che sarà a breve pubblicato sul Journal of Nutrition, è stato presentato
da due neuroscienziati dell’Università di Princeton, negli Stati Uniti, al
congresso dell’American College of Neuropsychopharmacology, che si è svolto in
dicembre a Scottsdale, in Arizona.
Bart Hoebel e i suoi colleghi del
Princeton Neuroscience Institute studiano da anni i segni della dipendenza
fisica da zucchero nei ratti da laboratorio: in passato avevano osservato la
tendenza ad aumentarne il consumo e i sintomi di astinenza, due dei tre elementi
che caratterizzano la tossicodipendenza. Negli ultimi esperimenti hanno anche
individuato il craving (ovvero il desiderio incoercibile di assumere nuovamente
la sostanza), così da comporre il quadro completo.
"Se l’abuso di zuccheri è
davvero una forma di dipendenza, ci dovrebbero essere effetti a lungo termine
sul cervello” ha spiegato Hoebel. “Il craving e la ricaduta sono componenti
critiche della dipendenza, e noi siamo riusciti a dimostrare in diversi modi la
persistenza di questo tipo di comportamento nei ratti. Disponiamo del primo set
di studi completi sui ratti che suggerisce con forza la presenza di una
dipendenza dallo zucchero, e abbiamo individuato un possibile meccanismo alla
base di questa dipendenza”. Tutto questo, secondo Hoebel e colleghi, potrebbe
avere ricadute nella terapia delle persone con disturbi alimentari.
Quando lo
zucchero veniva negato agli animali che erano stati abituati a riceverne grandi
quantità, questi si impegnavano molto di più per riottenerlo non appena veniva
loro offerta la possibilità, e ne consumavano molto più di quanto avessero mai
fatto in precedenza.
Inoltre durante l’astinenza i ratti tendevano ad abusare
anche di alcol, sostanza cui fino ad allora erano stati esposti in dosi minime,
e a mostrare un’ipersensibilità alle amfetamine, di cui bastava una dose minima
(che in condizioni normali non avrebbe avuto effetti) per scatenare
iperattività, con una reazione che secondo i ricercatori sarebbe anch’essa
legata alla dipendenza da zucchero. "In alcuni modelli, l’assunzione smodata di
zucchero (bingeing) causa effetti a lungo termine sul cervello, e favorisce
l’inclinazione ad assumere altre sostanza da abuso, come l’alcol” spiega
Hoebel.
Tra gli effetti dell’assunzione compulsiva di zucchero studiati in
dettaglio c’è un picco di rilascio di dopamina, un importante
neurotrasmettitore.
“Sembra possibile che l’adattamento del cervello e i
comportamenti osservati nei ratti possano verificarsi anche in alcuni individui
affetti da bulimia o da binge-eating” ha concluso Hoebel. “Il nostro lavoro
evidenzia l’esistenza di alcuni legami tra i disturbi legati all’uso di sostanze
secondo la definizione tradizionale, come la tossicodipendenza, e lo sviluppo di
un desiderio anormale per sostanze naturali. Questa conoscenza potrebbe aiutarci
a ideare nuovi modi per diagnosticare e trattare le dipendenze nell’uomo”.
Fonte:
Princeton University (Comunicato
stampa)
Realizzato con il contributo del Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali
D.M. 25961 del 27/12/2007