Tanti vantaggi, ma attenzione agli effetti avversi. Potrebbe essere questo il sunto dei tanti studi sugli esiti del trattamento chirurgico dell'obesità che sono stati pubblicati da diverse riviste scientifiche internazionali nel giro di poche settimane.
Aveva infatti iniziato il NEJM a fine agosto con due studi che dimostravano non solo una maggiore perdita di peso ma anche una mortalità più bassa nei soggetti obesi sottoposti a terapia chirurgica rispetto a quelli trattati con terapia medica standard, ma secondo Richard Thirlby, del Virginia Mason Medical Center di Seattle, non è solo una questione di mortalità ma anche di produttività. Nello studio pubblicato da poco sugli Archieves of Surgery, lui e i suoi colleghi hanno evidenziato una netta prevalenza di rientri al lavoro a distanza di due anni dalla presa in carico tra i pazienti trattati chirurgicamente rispetto a quelli trattati con soluzioni alternative (37% vs 6%). A far la differenza comunque non sembrava tanto la perdita di peso quanto la riduzione del numero di comorbidità che per il gruppo trattato chirurgicamente era maggiore. Nello stesso numero della rivista Christopher Still e i colleghi del Geisenger Health Care System di Danville hanno pubblicato uno studio che dimostra invece come una perdita di peso tra il 5 e il 10 per cento prima dell'intervento potrebbe migliorarne ulteriormente i vantaggi. Sottoponendo tutti i pazienti obesi a interventi educazionali e di counseling, i ricercatori hanno visto che quelli in cui la perdita era superiore al 10 per cento, la degenza post-operatoria era più beve, ma soprattutto la probabilità di perdere fino al 70 per cento del peso dopo il trattamento chirurgico era significativamente maggiore. "Non è chiara la ragione esatta di questo risultato ma è molto probabile che la perdita del peso prima dell'intervento sia una misura della compliance e della capacità potenziale del paziente di seguire l'iter terapeutico successivo. – ha detto Edward Livingston, dell'Università del Texas nell'editoriale che accompagnava i due studi – È invece chiara la necessità di garantire questo tipo di interventi anche ai meno abbienti onde evitare un ulteriore scivolamento verso lo stato di indigenza con tutte le relative conseguenze sulla salute".
L'invito alla prudenza è però arrivato a metà ottobre sempre sugli Archieves of Surgery con uno studio di Lewis Kuller e i colleghi dell'Università di Pittsburg. "Senza voler demonizzare un trattamento che in pazienti gravemente obesi spesso è l'unica soluzione "salvavita" – ha detto infatti il ricercatore – in un indagine compiuta sui quasi 17 mila interventi svolti nella nostra regione abbiamo scoperto che esiste un rischio eccedente rispetto alla popolazione generale di morti per suicidio e problemi cardiovascolari". La loro proposta sarebbe quindi quella di migliorare i follow up sui pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica enfatizzando di più la componente psichica e la presenza di segni di disagio mentale o depressione.
Fonti:
Sjöström L et al. Effects of bariatric surgery on mortality in Swedish obese subjects. NEJM 2007;357:741
Adams TD et al., Long-term mortality after gastric bypass surgery. NEJM 2007;357:753
Wagner AJ et al. Return to work after gastric bypass in Medicaid-funded morbidly obese patients. Arch Surgery 2007;142(10):935-940
Still CD et al. Outcomes of preoperative weight loss in high-risk patients undergoing gastric bypass surgery. Arch Surgery 2007;142(10):994-998.
Livingston EH. Bariatric surgery in the new millennium. Arch Surgery 2007;142(10):919-222.