Sono così forti i vantaggi che derivano dallo smettere di fumare che l’eventuale aumento ponderale dopo l’addio alle sigarette non ne limita l'efficacia. Secondo un nuovo studio, gli ex fumatori hanno un rischio di malattia cardiovascolare quasi dimezzato rispetto ai fumatori, pur in presenza di un modesto aumento di peso.
Lo studio, che ha utilizzato i dati del Framingham Offspring Study raccolti nel periodo 1984-2011, ha coinvolto persone con e senza diabete, che sono state inserite nei gruppi “fumatore”, “ex fumatore recente" (4 anni o meno), “ex fumatore da molto tempo" (più di 4 anni) “non fumatore”. Si è visto che chi smetteva di fumare nel corso dei quattro anni successivi aumentava significativamente di peso, in media di 2.7 kg se non diabetico, di 3,6 kg se diabetico, rispetto agli altri gruppi. Non vi erano invece differenze nell'aumento di peso tra fumatori, ex fumatori da molto tempo e non fumatori.
Dopo un follow-up di 25 anni sono stati registrati 631 eventi cardiovascolari su un totale di 3.251 partecipanti. Tra i partecipanti senza diabete si aveva un’incidenza di problemi cardiovascolari di 5,9 per 100 esami nei fumatori; 3,2 eventi negli ex fumatori recenti; 3.1 eventi tra gli ex fumatori di vecchia data e 2.4 tra i non fumatori. Rispetto ai fumatori gli hazard ratio calcolati per le malattie cardiovascolari per gli ex fumatori recenti e di vecchia data erano rispettivamente di 0.47 (95% CI, 0.23-0.94) e 0.46 (95% CI, 0.34-0.63).
“Queste associazioni si modificavano in modo minimo dopo ulteriori aggiustamenti per il peso” scrivono gli autori. In conseguenza di questi risultati, gli autori sostengono che lo smettere di fumare sia collegato a un miglioramento del rischio cardiovascolare, sia pure in presenza di un piccolo aumento ponderale.
Negli ultimi anni la prevalenza dei fumatori in Italia è in leggera e costante diminuzione. I dati tratti dal CCM (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie del ministero della Salute) confermano che nel 2003 la prevalenza dei fumatori era del 23,8%, con più alta percentuale nell’Italia centrale (24,3%) rispetto al Nord Italia e al Sud. Nel 2009 la prevalenza dei fumatori è passata al 29% (maschi 33%, femmine 24%); l’abitudine al fumo è più diffusa nelle classi di età minori di 25 anni e nelle persone con livello di istruzione medio-bassa.
Il fumo attivo è la principale causa di morbilità e mortalità prevenibile nel nostro paese. Quali possono essere le strategie per la lotta al tabagismo? La dipendenza da nicotina è una patologia cronica in cui il rischio di ricaduta può persistere anche per anni. È raccomandato programmare percorsi di follow up per i vari tipi di persone che desiderino smettere di fumare: negli adolescenti e nelle donne in gravidanza il trattamento di prima scelta è il counseling, con cui fornire consigli pratici per evitare le ricadute (per esempio calcolare il denaro speso per il fumo, pensare alle ragioni che hanno portato alla decisione di smettere, bere grandi quantità di acqua e assumere alimenti ricchi in vitamina C).
Una revisione sistematica del 2003 ha mostrato che la cessazione del fumo comporta una riduzione del 36% della mortalità per tutte le cause nei pazienti con pregressa patologia coronarica, negli anziani e nei cardiopatici possono essere utilizzati farmaci per indurli alla cessazione del fumo.
Nei mesi che seguono la cessazione dal fumo è frequente un aumento del peso, che spesso può scoraggiare il soggetto nella decisione di smettere di fumare. È sconsigliato intraprendere diete troppo restrittive ma è necessario controllare l’introito calorico e praticare attività fisica quotidianamente.
Fonte: Association of smoking cessation and weight change with cardiovascular disease among adults with and without diabetes. Clair C, Rigotti NA, Porneala B, Fox CS, D'Agostino RB, Pencina MJ, Meigs JB. JAMA. 2013 Mar 13;309(10):1014-21. doi: 10.1001/jama.2013.1644.