Sull’importanza nella dieta degli alimenti ricchi di calcio ancora non ci siamo.
Latte e latticini si consumano poco e male a tutte le età, ma secondo uno studio
pubblicato sul Journal of Pediatrics sono soprattutto i bambini a non
raggiungere i livelli minimi di introito del minerale importante per la salute
dello scheletro. Comparando il consumo abituale di questo tipo di alimenti nei
ragazzi tra i 2 e 18 anni con il consumo consigliato i ricercatori della Penn
State University si sono infatti resi conto che nei più giovani il calcio non è
assunto in quantità adeguata e che il poco introdotto proviene da cibi troppo
grassi con rischi notevoli non solo per la riduzione della densità ossea, ma
anche per l’obesità.
Il problema non sembra riguardare tanto i bambini tra i
2 e i 3 anni che rientrano nei parametri consigliati sia per quantità che per
qualità, ma i più grandicelli poiché dell’indagine è emerso un primo calo
nell'assunzione di latte e latticini tra i 9 e i 13 anni seguito da un’ulteriore
diminuzione tra i 14 e i 18 anni.
“Qualità e quantità complessive di un
alimento devono sempre andare di pari passo. – sostiene Sybille Kanz,
coordinatrice dello studio – Se prendiamo ad esempio il latte, alimento ricco di
calcio per eccellenza, un bicchiere di quello scremato contiene circa 80
calorie, mentre uno di quello intero ne contiene 150. Potrebbe essere che nei
ragazzi si sia instillata l’erronea convinzione che "intero" corrisponda una
maggiore quantità di calcio, ma è più probabile che si tratti semplicemente di
appetibilità”. Per contrastare il dilagante fenomeno dell’obesità senza
compromettere la salute dell’osso, i ricercatori suggeriscono quindi di trovare
sistemi alternativi per aumentare il gradimento nei giovani che non siano quelli
di infarcire questi prodotti di grassi, aggiungendo per esempio frutta fresca
allo yogurt magro, o di un po’ di cacao al latte scremato.
A puntare il dito
contro la confusione più totale che regna intorno ai cibi ricchi di calcio – ma
il discorso si potrebbe fare per tanti altri nutrienti – ci hanno pensato anche
due economiste con la terza fase di uno studio già pubblicato sul Journal of
Public Policy and Marketing. Secondo Laura A. Peracchio dell’Università di
Wisconsin-Milwaukee (UWM) e Lauren Block del Baruch College (CUNY) non c’è
infatti confrontabilità tra gli introiti di calcio minimi suggeriti dai medici e
i valori che poi il consumatore si trova sulle etichette dei prodotti. “Se i
primi parlano in termini di milligrammi giornalieri, sulle confezioni di latte e
yogurt compaiono percentuali di razioni. Come fanno i pazienti-consumatori a
convertire i milligrammi in percentuali o viceversa e a regolarsi di
conseguenza?” si sono chieste le due economiste. Dalla loro indagine emerge che
non lo fanno semplicemente perché non lo sanno fare ma che dandogli informazioni
chiare l’introito complessivo di calcio aumenta sensibilmente. Non è quindi un
caso che la FDA abbia aggiunto nel suo sito le istruzioni per effettuare la
conversione tra percentuale e milligrammi di
micronutrienti.
Fonti:
Kranz S et al.
Children's Dairy Intake in the United States: Too Little, Too Fat? Journal of
Pediatrics 2007; doi:10.1016/j.jpeds.2007.04.067.
Block LG, Peracchio LA. The
Calcium Quandary: How Consumers Use Nutrition Labels for Daily Diet. Journal of
Public Policy and Marketing Fall 2006;25(2):188–196.