È nota da tempo la possibile relazione tra abitudini alimentari scorrette e le malattie: zucchero e diabete, colesterolo e malattie cardiovascolari, solo per citare le più note. Sulla scia di queste evidenze la ricerca ha sviluppato sempre più studi che mettessero in correlazione una serie di alimenti e i tumori più frequenti. Con questa premessa, la ricerca scientifica ha cercato, negli anni, tramite i suoi studi epidemiologici (osservazionali, descrittivi e prospettici) di studiare il legame tra la carne e i tumori e di fornire le raccomandazioni per la prevenire il fenomeno. Tuttavia, la ricerca in ambito oncologico è complessa e ancor di più se unita all’ambito alimentare che è composto di migliaia di molecole e altrettante possibili interazioni.
Pertanto, non è facile ottenere risultati scientificamente certi sia in senso positivo sia negativo. D’altronde le cause di tumori sono associate anche a elementi non alimentari come inquinamento atmosferico, alcolismo, tabagismo; sono sotto accusa anche i cellulari dei quali alcuni studi evidenziano la pericolosità e altri la smentiscono. Un fatto è certo: più indagini si fanno più scoperte emergono, ma non sempre i dati diffusi dai media sono interpretati nel modo corretto, spesso si lascia spazio all’allarmismo più che alla prova scientifica e questo provoca pregiudizi e leggende metropolitane. Le istituzioni preposte alla sorveglianza sui fenomeni che possono nuocere alla salute sono molto sollecite nel lanciare allarmi e precauzioni quando esistono pericoli di contagio o diffusione di una malattia. È il caso dei cordoni sanitari che si organizzano per impedire la diffusione di alcune epidemie con gli screening organizzazioni per individuare chi abbia contratto la malattia o ne sia portatore. Le indagini epidemiologiche invece hanno lo scopo di evidenziare fenomeni che si associano a possibili pericoli per la salute non contagiosi che però possono diventare delle vere pandemie quando la loro diffusione coinvolge alte percentuali di popolazione. È il caso dell’obesità che non si espande come una malattia infettiva, ma colpisce milioni di persone con una progressione preoccupante.
Le Agenzie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), eseguono da decenni studi sui fenomeni e i comportamenti che hanno conseguenze sulla salute della società. Questo tipo d’indagini sono utili soprattutto per orientare le istituzioni sanitarie dei vari Paesi a promuovere specifici cambiamenti nello stile di vita e a monitorare e arginare le sorgenti di rischio. Un esempio sono le centraline che analizzano la qualità dell’aria nelle zone urbane, nate appunto dalla consapevolezza che le polveri sottili, il benzene e le altre sostanze che inquinano l’aria che respiriamo, provocano malattie compresi i tumori, oppure le leggi e le campagne per arginare l’abitudine al fumo o per ridurre il fenomeno dell’obesità.
Carne: allarmi e realtà
Nella nostra società le notizie che mettono paura si espandono molto più rapidamente e si radicano più profondamente di quelle che invece rassicurano. Ciò dipende soprattutto dal fatto che i media (quelli nuovi compresi) semplificano in notizie brevi contenuti che invece richiederebbero una lettura molto più articolata. In alcuni casi è vero che possono bastare pochi secondi e poche parole, in altre assolutamente no. Un titolo come “La carne fa venire in cancro” è nato in riferimento a una comunicazione dell’Agenzia IARC (International Agency for Research on Cancer), authority della OMS. L’authority ha pubblicato questa notizia? No! Ha modificato l’elenco delle sostanze classificate come cancerogene, aggiungendovi la carne rossa e lavorata. Questo è bastato perché sui social si scatenasse un’enorme cassa di risonanza a un allarme che non considera la totalità dei fattori. Ma facciamo un passo alla volta.
Qual è la posizione scientifica della OMS?
Lo IARC ha revisionato 800 studi epidemiologici che indagavano sull’associazione fra carni rosse e insorgenza di cancro in tutto il mondo. Il gruppo IARC è composto di 22 esperti di 10 differenti paesi. Questo team ha deciso di catalogare le carni rosse lavorate fra le sostanze cancerogene della “classe 1” (classifica di pericolosità che contiene 113 sostanze) sulla base di sufficienti evidenze scientifiche che le collegano al cancro del colon e dello stomaco. Ha invece inserito nel “gruppo 2” (66 agenti cancerogeni) il consumo di carne rossa non lavorata.
L’OMS quindi non ha lanciato allarmi, ma solo aggiornato le classifiche di pericolosità (e o rischio) che vanno lette quale punto di riferimento generale cui accedere per considerazioni più dettagliate. In questi elenchi ci sono moltissime sostanze che comunque ingeriamo, respiriamo e tocchiamo ogni giorno.
Le classificazioni dello IARC di Lione, non fanno altro che ribadire concetti già noti e inseriti nelle raccomandazioni per un virtuoso stile di vita idoneo a prevenire e ridurre il rischio di contrarre malattie in generale.
Dobbiamo dare importanza all’allarme apparso su tutti i media del mondo: la carne provoca il cancro?
No. Un titolo di giornale o poche parole dette al telegiornale, o milioni di tweet, provocano reazioni emotive assolutamente ingiustificate rispetto alle realtà scientifiche.
Il problema è più complesso di quanto sembra, in particolare perché, non dobbiamo scordare che gli studi sono il risultato di evidenze raccolte in ogni parte del globo, ma, come vedremo più avanti, la carne fresca o lavorata non è uguale in ogni continente. Oltre a ciò, il rischio non emerge se si osservano le quantità e la frequenza di consumo della dieta mediterranea. I media però insistono e pare che la carne sia la maggiore responsabile dell’evento cancro.
Come la pensano i ricercatori
Sul sito della AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro) è possibile leggere a proposito degli studi IARC:
"È possibile che sostanze inserite nella lista 1 dello IARC siano cancerogene, ma non siano sempre vietate? Sì, perché l'effetto dipende sempre dalla dose: una sostanza può essere cancerogena se assunta a una dose alta, studiata in laboratorio, ma non alla dose con cui l'uomo viene a contatto nella vita quotidiana.
Alcol, benzene, la naftalina usata come antitarme negli armadi ma anche farmaci come la ciclosporina, impiegata per impedire il rigetto nei tumori: tutte queste sostanze hanno in comune l'appartenenza alla “classe 1” stilata dallo IARC che classifica ciò che può provocare il cancro in base a una precisa scala di rischio".
Da queste parole si deduce che chi vive nelle città di oggi e respira l’aria inquinata che contiene alcune delle sostanze presenti nell’elenco della “classe 1”, ha un maggiore rischio di contrarre un tumore rispetto a chi vive in ambienti con l’aria pulita, quindi coloro che mangiano molte carni lavorate hanno un maggiore rischio di contrarre un cancro di coloro che ne mangiano una quantità ragionevole, rischio che si annulla consumandone una certa quantità, come affermano allo IEO (Istituto Europeo di Oncologia).
Il direttore dello IARC Christopher Wild, sottolinea:
“I risultati del gruppo di lavoro devono far riflettere sulla possibilità di rivedere le attuali raccomandazioni sui limiti all’assunzione di carne. Allo stesso tempo però questo alimento ha un alto valore nutrizionale. Quindi è essenziale che i governi e le agenzie regolatorie internazionali intervengano per bilanciare i rischi e i benefici del consumo di carne rossa e lavorata e forniscano le migliori raccomandazioni dietetiche alla popolazione”.
Lo IEO di cui è direttore scientifico emerito il Prof. Umberto Veronesi consiglia:
“Gli alimenti di origine animale consumati all’interno di una dieta sana e ricca di prodotti vegetali rappresentano un apporto di nutrienti e possono rientrare in una dieta salutare e preventiva. Per quanto riguarda le uova, il latte e i suoi derivati, le carni bianche e il pesce, non esistono a oggi evidenze che il loro consumo influisca sullo sviluppo delle patologie oncologiche. Per quanto riguarda la carne rossa, invece, i dati raccolti finora dicono che un consumo al di sotto dei 500g alla settimana non costituisce un pericolo per la salute”.
Secondo l’OMS i morti all’anno per cancro nel mondo sono associati a:
Dieta (alimentazione) 50.000
Smog (inquinamento atmosferico) 200.000
Alcolismo 600.000
Tabagismo 1.000.000
Non tutti i 50.000 decessi per cancro associati alla dieta sono causati dalla carne, il rischio che evince l’OMS è:
- 50 grammi al giorno di carni rosse lavorate aumenterebbero il rischio di cancro al colon del 18%. (es.: 350 g a settimana di salame o wurstel, n.d.r.)
- 100 grammi al giorno (700 g a settimana) di carne rossa aumenterebbero il rischio di cancro al colon del 17%.
Nonostante sia evidente che la carne in sé non faccia venire il cancro e che la morte per tumori a causa della dieta sia notevolmente inferiore alle altre cause, i disturbi dovuti all’alimentazione sono gravi. L’obesità è ormai una pandemia e il diabete fa 5 milioni di morti l’anno, solo in Italia 27.000. La corretta ed equilibrata alimentazione quindi, non deve essere privata di carne o latte e derivati per la paura di contrarre il cancro, ma deve essere adottata per guadagnare salute e per ridurre il rischio di contrarre molte malattie che possono portare la morte, compreso il cancro.
C’è carne e carne
A chi ritiene che comunque le varie convinzioni sulla pericolosità della carne abbiano una ragion d’essere, e voglia approfondire il diffuso allarme lanciato da più parti, può essere utile comprendere il significato della carne lavorata nella “classe 1” e della carne rossa nella “classe 2”.
La prima distinzione va fatta su cosa s’intende per carni rosse lavorate:
- Lo IARC si riferisce a: “ carni salate, essiccate, fermentate, affumicate e trattate con conservanti per migliorarne il sapore”.
Se pensiamo alle migliaia di prodotti di questo tipo e alle innumerevoli differenze di lavorazione, diventa difficile capire cosa è veramente pericoloso mangiare.
I prosciutti DOP italiani sono carne salata, ma non hanno né conservanti, né sostanze che ne migliorano il sapore. Certo la carne è salata, ma non quanto alcuni prodotti del nord d’Europa, Canada o USA, i nostri prosciutti DOP durante la fase di stagionatura sono immersi in acqua proprio per ridurre il sapore del sale e di conseguenza il sodio incriminato. È plausibile quindi che sorgano delle domande su cosa rende pericolosa la carne rossa lavorata:
- Con quali carni sono fatti i prodotti lavorati?
- Tra una carne di manzo lavorata e una di maiale ci sono delle differenze?
- Quanto debbono essere salate, o affumicate?
- Quali conservanti o sostanze che aumentano il sapore sono pericolose?
La seconda distinzione va fatta su cosa s’intende per carni rosse?
- Lo IARC ha messo nell’elenco, manzo, maiale, vitello, agnello, montone, cavallo e capra.
Anche in questo caso si parla di animali in senso generico, ma come sappiamo questi animali non sono tutti uguali, dipende dalla razza e soprattutto da come sono allevati, da cosa mangiano. Anche in questo caso sorgono delle domande.
- In Italia il vitello da latte è considerata carne bianca perché l’animale viene macellato prima che inizi a mangiare erba. Perché è nell’elenco delle carni rosse?
- Per maiale s’intende anche il maialino da latte tanto amato in Sardegna?
- E per agnello o capra s’intendono anche gli animali che hanno mangiato solo latte e non hanno ancora toccato l’erba? L’agnellino e il capretto da latte?
- Gli animali made in USA cosa hanno mangiato e come sono allevati, dal momento che il 50% circa dei cereali è OGM?
- L’effetto delle carni USA sulla salute dell’uomo è uguale alle nostre carni?
A queste domande si può rispondere senza paura di equivoci in questo modo:
Le leggi che disciplinano gli allevamenti e l’industria agroalimentare in generale negli USA e in Europa sono molto differenti. In Europa i regolamenti sono molto più restrittivi in particolare per i prodotti:
DOP (Denominazione Origine Protetta)
IGP (Indicazione Geografica Protetta)
STG (Specialità Tradizionale Garantita)
Oltre alle sigle dei vini: IGT, DOC e DOCG. Ogni prodotto che espone un marchio concesso dalla Commissione Europea deve seguire un rigido disciplinare e sottostare a controlli su tutta la filiera. Questa procedura garantisce il consumatore sull’origine, la qualità e la sicurezza del prodotto.
Nell’Unione europea, molti prodotti alimentari americani non possono entrare, dalle carni dall’allevamento ai trasformati dall’industria agroalimentare per vari motivi:
- In Europa l’uso degli steroidi anabolizzanti che favoriscono la crescita dell’animale è completamente proibito. Pertanto, un vitellino nato in Francia e allevato in Italia non ha le stesse caratteristiche di quelli made in USA.
- In America e in altri paesi del mondo nelle carni lavorate si possono usare sostanze come l’arsenico, coloranti artificiali derivati dal petrolio, additivi, addensanti e conservanti da noi considerati tossici e assolutamente proibiti.
È difficile quindi considerare nella stessa classe prodotti di carne rossa lavorata made in USA e in UE. Con questo non si vuole giudicare più pericoloso il prodotto americano, ma solo differente. È evidente che sia spontaneo domandarsi quale tipo di carne possa aumentare il rischio di contrarre il cancro.
Cos’è una metanalisi
La metanalisi è una tecnica clinico-statistica che permette di analizzare una serie di studi condotti sullo stesso argomento, consentendo una sintesi quantitativa dei risultati. Tra gli 800 studi che hanno formato la metanalisi dello IARC quanti si basavano su animali nati e allevati in Europa e quanti negli USA e negli altri paesi del mondo? Essendo lo IARC composto da ricercatori provenienti da 10 differenti nazioni è plausibile pensare che la loro esperienza sia relativa anche al consumo di carne del paese di provenienza. Certamente lo studio definitivo ha valutato tutte le variabili, ma il risultato, cioè l’inserimento nella “classe 1” e “classe 2” non lo rende evidente. Pertanto se la sintesi quantitativa ha evidenziato il fattore di rischio che in maggioranza proveniva da studi americani, il dubbio che la carne rossa lavorata di origine europea e quella americana abbiano lo stesso impatto sulla salute, è legittimo. Le attuali conoscenze scientifiche non hanno ancora chiaro quale sia il collegamento diretto tra il consumo di carni lavorate e il rischio di cancro, tuttavia, sembra che i fattori di rischio potrebbero essere legati al metodo di conservazione oppure al contenuto di grassi, ma anche all’abbinamento con altri alimenti.
Se le cose stanno così è evidente che c’è discordanza tra i nostri ricercatori e quelli di altri paesi poiché alcuni i prodotti made in USA sono autorizzati a contenere alcune sostanze che invece in Europa sono proibite. Sono però tutti d’accordo sul fatto che le linee guida del consumo di carni rosse lavorate debbano tenere conto di quanto lo studio IARC ha evidenziato, cioè diffondere le linee guida corrette sulla quantità e la frequenza del consumo di carne rossa e carne rossa lavorata. Questo significa che, ammesso e non concesso che il prodotto europeo sia meno, o per niente, responsabile dell’aumentato rischio di cancro la prudenza vuole che se ne limiti il consumo.
Le evidenze scientifiche
La dieta mediterranea è la dieta che garantisce una corretta ed equilibrata alimentazione riconosciuta in tutto il mondo come la migliore per la prevenzione delle malattie, compreso il cancro, e la più sostenibile. È una dieta onnivora che prevede sia carne, sia pesce ed anche carni conservate e insaccate con precise raccomandazioni sulle quantità e la frequenza con cui è bene consumare i diversi alimenti. Seguirla è facile perché è fatta di concetti semplici. Ne è un esempio il programma “La dieta del Grana Padano”.
Di fronte a questa incontrovertibile evidenza scientifica come dobbiamo valutare gli pseudo studi scientifici e le tante informazioni che invece consigliano di non mangiare carne, latte e latticini e ogni altro prodotto di origine animale? I principi del veganesimo e delle diete vegetariane estreme come la crudista, si fondano su valori etici comprensibili ma non condivisibili sul piano nutrizionale dalla scienza dell’alimentazione. Di fronte alle tante proposte che circolano sul web, per fare chiarezza e dare all’informazione il giusto valore, occorre:
considerare sempre con molta prudenza i titoli e quanto raccontano le TV, e i social, soprattutto quando ci troviamo di fronte a termini come “nuova scoperta in campo oncologico”. Ricordiamo sempre che seppur basata su ragionamenti logici e plausibili, una vera scoperta ha sempre bisogno di tempo per essere confermata e provata. È opportuno quindi mantenere un giudizio critico:
- Approfondire sempre l’argomento. Non fermarsi alla prima lettura e farsi trasportare dal qualunquismo tipico dei media, ma cercare di capire l’informazione nella sua completezza tramite fonti attendibili e riconosciute quali: società scientifiche legate a ogni disciplina e per i tumori in Italia l’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e dal proprio medico.
- Quando l’informazione, da qualsiasi pulpito derivi, propone cambiamenti di rotta molto distanti dal buon senso comune, occorre considerare che nel caso dell’alimentazione si corre il rischio di conseguenze per la salute, con danni anche irreversibili, che possono manifestarsi anche dopo anni.
- Ricordare sempre che il cancro è una patologia complessa, che ha tantissimi modi fisiopatologici (patogenesi) per manifestarsi, per questo sono tante le cause che possono farlo insorgere. Un’informazione che dia risposte facili e perentorie in campo oncologico è sempre da considerare con sospetto.
- Le informazioni che invece hanno un fondamento parlano sempre di aumentato rischio e non danno mai soluzioni certe, ma sempre probabilità: X% di contrarre una malattia, Y% possibilità di guarigione.
Proteine animali: cosa ridurre e come variare
Gli alimenti di origine animale negli anni sono stati maggiormente indagati dalla ricerca scientifica e sono quelli che la popolazione guarda con maggiore sospetto. Sospetto che quasi sempre nasce da equivoci di comunicazione, o pregiudizi o da principi etici scambiati per verità scientifiche.
L’enorme onda mediatica sollevata dalle classifiche della OMS sulle sostanze cancerogene ha rinvigorito anche l’idea che gli alimenti di origine animale (latte e derivati, uova) e il pesce provochino il cancro o danneggino la salute, alimentando leggende metropolitane che invece sono smentite dalla scienza:
- Va detto con estrema chiarezza che non esistono attualmente evidenze scientifiche che il consumo di carne, uova, latte e derivati, influisca sullo sviluppo di tumori. Anzi, molti studi hanno evidenziato doti antitumorali in alcune molecole contenute nei lipidi del latte e nel Grana Padano, che ne è un concentrato, come il butirrato cui si attribuiscono effetti antitumorali e di prevenzione del cancro del colon, com’è ben descritto nel libro “Nuovi Orizzonti” che puoi scaricare gratuitamente in pdf.
- Le evidenze rassicurano anche per le carni rosse (manzo, maiale, pecora, cavallo e loro derivati) consumate moderatamente all’interno di una dieta equilibrata, ossia non più di tre porzioni a settimana, e sempre accompagnate con verdura ricca di fibra, sali minerali e antiossidanti, contribuiscono a promuovere la salute.
- Per quanto riguarda gli insaccati e le carni lavorate (salsicce, würstel, salami e insaccati vari) le linee guida per la prevenzione oncologica raccomandano un consumo occasionale, in altre parole una porzione da 50g 2 volte il mese.
- Per le carni conservate, affettati, come prosciutto crudo o cotto, bresaola, speck (di origine europea) invece le porzioni possono essere 2 a settimana in quantità di 80g.
- Per tutte le carni conservate è preferibile scegliere quelle prive di solfiti e realizzate con carne allevata in Italia. Leggere attentamente le etichette.
Tutte le raccomandazioni e i consigli presenti in questo articolo hanno esclusivamente scopo educativo ed informativo e si riferiscono al tema trattato in generale, pertanto, non possono essere considerati come consigli o prescrizioni adatte al singolo individuo, il cui quadro clinico e condizioni di salute possono richiedere un differente regime alimentare. Le informazioni, raccomandazioni e i consigli sopracitati non vogliono essere una prescrizione medica o dietetica, pertanto il lettore non deve, in alcun modo, considerarli come sostitutivi delle prescrizioni o dei consigli dispensati dal proprio medico curante.